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L'”AMORE” VIOLENTO

QUALCHE ACCENNO SU… L'”AMORE” VIOLENTO.

L'”amore” violento non è amore. In qualsiasi modo si manifesti non può essere nient’altro che abuso di potere.

La violenza, anche quando è sessuale, non ha niente a che vedere né con il sesso né tantomeno con l’amore.

Nessuna “soverchiante tempesta emotiva e passionale” (dalla sentenza della Corte d’Appello di Bologna che, in questi giorni, ha dimezzato la condanna di Michele Castaldo per avere ucciso la sua fidanzata Olga Matei) può giustificarla.

Giustifichereste il vostro carnefice perché ha agito in preda ad un raptus? L’incapacità a padroneggiare la propria tensione emotiva e i propri impulsi è un problema di pertinenza psicoterapeutica e psichiatrica, ma nella violenza nei confronti delle donne (e di tutte le cosiddette “minoranze”) l’aspetto prevalente è di natura culturale, porta a considerare l’altro come un oggetto di proprietà esclusiva e dovrebbe rappresentare un’aggravante, non un’attenuante, in sede giudiziaria.

In questi casi i sentimenti, le esigenze e i pensieri dell’altro (potenzialmente divergenti dai nostri) semplicemente non vengono né rispettati ne’ considerati. Solo la propria volontà ha valore. La gelosia è un sentimento tanto fragile quanto pericoloso.

Entro certi limiti è presente in ogni rapporto e può accompagnarsi ad una sana esclusività.

Più spesso però travalica e si trasforma in un’appropriazione dell’altro contraria alla natura dell’amore. La violenza, in qualsiasi modo si manifesti, non è amore né quando si infligge né quando si subisce e si accetta.

“Non esiste un “raptus di gelosia”, esiste una modalità di relazione sbagliata” (Anna Maria Nicoló, neuropsichiatra, in Cristina Nadotti, la Repubblica, 3 marzo 2019). Questo vuol dire, però, che se la dinamica di coppia è disfunzionale la responsabilità è di entrambe le parti.

Se chi compie la violenza deve, oltre a fare i conti con la propria pochezza etica, culturale e psicologica, risponderne adeguatamente di fronte alla giustizia, chi la subisce è chiamata/o anch’essa/o a riflettere sui propri comportamenti per disattivare la coazione a ripetere che replicherebbe comunque la dinamica. Sindrome da crocerossina? Atteggiamenti passivo-aggressivi? Incapacità di ribellarsi ai condizionamenti culturali? Sensi di inadeguatezza e mancanza di autostima? Traumi pregressi? Difficoltà comunicative? Qualsiasi sia il motivo, solo se le “vittime” smetteranno di considerarsi e di agire come tali e daranno anch’esse il loro contributo all’elaborazione e al superamento delle logiche dell'”amore” malato, la violenza potrà essere circoscritta e la cultura della sopraffazione abbandonata.

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