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BULLISMO E CYBERBULLISMO

QUALCHE ACCENNO SU… BULLISMO E CYBERBULLISMO.

Il bullismo è un comportamento sociale violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, reiterato nel tempo.

Può verificarsi in ambito scolastico, ma anche lavorativo (mobbing), nelle Forze Armate (nonnismo), in carcere o su internet (Cyberbullismo) e può associarsi a stereotipi e pregiudizi culturali che inducono a colpire categorie considerate “diverse” (gay, stranieri, disabili ecc.). (Wikipedia).

Il bullo “dominante” può manifestare la propria aggressività in modo diretto o indiretto e lo fa nei confronti di soggetti che considera bersagli facili e/o incapaci di difendersi.

È solitamente fiancheggiato da uno o più bulli “gregari” che ne condividono gli obiettivi ma non prendono iniziative autonome.

La vittima può essere passiva-sottomessa o provocatrice.

Ci sono poi gli spettatori, che si dividono tra i sostenitori del bullo, i difensori della vittima e la “maggioranza silenziosa” che si tira fuori dalla situazione.

La sempre maggiore distanza emotiva e anche cognitiva (difficoltà a distinguere adeguatamente il mondo reale da quello virtuale), alle quali contribuisce notevolmente l’uso di Internet, rende più efferata l’aggressione e le impedisce di essere riassorbita in un quadro socialmente e psicologicamente funzionale.

Nella relazione bullo (onnipotente)-vittima (impotente) manca la simmetria del rapporto ma, al di là delle apparenze, quello che i due soggetti condividono è una profonda insicurezza ma anche la conseguente aggressività. (Magda Di Rienzo, Convegno ARPEA, Teramo, 3 marzo 2007 ).

La prepotenza del bullo nasconde infatti anch’essa molto spesso, un profondo senso di inadeguatezza.

Altre volte è invece il prodotto di una mente psicopatica (o sociopatica) (gli individui che rientrano in questa categoria costituiscono dal 1% al 4% della popolazione e solo una minima parte è composta da “serial killer”) ( Claudia Moscovici, Relazioni pericolose, 2011).

D’altra parte anche la vittima è spesso portatrice di un’ aggressività repressa che la induce, tra l’altro, a non chiedere aiuto.

In ogni caso le conseguenze che subisce possono essere gravi e permanenti arrivando a mutare, come succede d’altronde nei traumi più gravi, la struttura fisica del cervello (studio del King’s College di Londra, Burke Quinlan, ANSA dicembre 2018).

Il mondo degli adulti dovrebbe infine interrogarsi sui modelli culturali e comportamentali proposti e sulla propria incapacità di rimanere in contatto con sé stessi, con la propria umanità e con i ragazzi, per coglierne i segni di disagio.

Una società più solidale, empatica e compassionevole, coerente e aperta al confronto con sé e con gli altri potrebbe proteggere i giovani dalle loro paure, insicurezze e aggressività ed intervenire adeguatamente laddove si manifestino.

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