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L’esoterismo ne “Il gioco dell’Oca” – Un viaggio iniziatico

Il Gioco dell’Oca è uno dei giochi tradizionali più antichi di sempre. Deve il suo nome alle “oche” che appaiono in alcune caselle; quest’ultime vengono considerate caselle fortunate in quanto chi vi approda salta subito alla successiva casella contrassegnata dall’oca o, in alcune versioni, il giocatore può rilanciare i dadi. Il gioco si consiste in un percorso a spirale deciso unicamente dalla sorte (bisogna lanciare dei dadi per muoversi), anticamente suddiviso in 63 caselle numerate che contengono figure simboliche e allegoriche. Le versioni più recenti, invece, contano solitamente 90 caselle. Il numero dei partecipanti può variare ma ce ne devono essere almeno 2. Il gioco prosegue fino a quando si raggiunge il traguardo centrale, ovvero la casella più grande delle altre che rappresenta la Porta del Giardino dell’Oca.

Un tempo, i giochi tradizionali, come la Dama e gli Scacchi, rappresentavano un mezzo d’insegnamento attraverso il gioco, essendo capaci di far interiorizzare, anche ai giocatori più piccoli, dei concetti legati all’esistenza. Secondo molte interpretazioni, infatti, sono considerati dei veri e propri strumenti finalizzati a trasmettere insegnamenti di valore iniziatico. Ciò accade anche nei periodi più recenti: ad esempio durante il periodo fascista venne creato un gioco dell’oca capace di rispecchiare il periodo di guerra che l’Italia stava passando chiamato il “gioco dell’aquila”.

Ma quali sono concretamente i simboli contenuti in questo che potremmo definire un vero e proprio “viaggio iniziatico?”

Innanzitutto, le oche stesse costituiscono un simbolo magico-esoterico in tantissime culture: per i Gaelici, per esempio, rappresentavano i custodi della saggezza superiore; nell’antico Egitto, l’oca raffigurava invece l’anima del Faraone e del Sole nascente. I Cinesi la consideravano messaggera celeste, mentre, per gli sciamani dell’Altai le oche erano legate alla dimensione escatologica: solo cavalcando un’oca selvaggia era infatti possibile raggiungere l’aldilà. A Roma possiamo citare l’episodio delle oche capitoline che, oltre a custodire il tempio della Dea Giunone, erano considerate profetiche e chiaroveggenti.

Anche il tabellone stesso richiama la figura del labirinto. Dal punto di vista alchemico, può essere associato all’uroboro, il serpente che a livello simbolico rappresenta l’infinito, la ciclicità, come se il pedone dovesse ciclicamente vivere ripercorrendo più volte lo stesso percorso.

Accanto a delle caselle considerate fortunate, come abbiamo visto, ci sono invece delle caselle considerate infauste, come ad esempio la numero 6, il ponte, dove si deve pagare una posta.           In alcune illustrazioni, invece, troviamo disegnato un Ponte anche alla casella 12, per sottolineare il fatto che il Ponte inizia alla casella 6 e termina alla 12, unendo tra loro due rive. Questa casella rappresenta un primo e improvviso balzo in avanti, un primo vantaggio, seppur piccolo. L’osteria è il primo vero ostacolo che incontriamo sul cammino. Chi vi giunge sta fermo un turno (o due) per riposarsi e prepararsi alle nuove vicissitudini che lo attendono. Simboleggia dunque il riposo, il ristoro, ma anche l’indolenza e la pigrizia. Ma anche il luogo dell’ebrezza, dell’eccesso di liquidi. Non a caso tutto ciò è legato, secondo la teoria dei temperamenti ippocratici, al temperamento “flegmatico” o linfatico, associato tradizionalmente proprio all’indolenza e all’accidia. L’ebrezza, inoltre, ha una valenza fortemente femminile, in quanto legata al piacere e al vizio.

Chi ha la sfortuna di giungere alla casella numero 31, il pozzo, subisce la stessa sorte della casella numero 52, la prigione. Un giocatore che capita nella casella 31 dovrà essere sempre rimpiazzato da un altro per liberarsi. In altre parole, dal momento in cui il primo giocatore cade nel Pozzo, ci sarà sempre qualcuno al suo interno, fino alla fine del gioco. E’ significativo che la casella del Pozzo si trovi esattamente a metà del cammino; questa posizione, unita alla struttura circolare del Pozzo, ne fa un simbolo del “centro immobile”, della “fissità assoluta”.  E’ come se il simbolo ci dicesse che, giunti alla metà del percorso, si può commettere l’errore di fermarsi, di fissarsi e irrigidirsi nell’orgoglio, rimanendo ancorati al nostro Ego. Non a caso, il pozzo, di forma circolare, è legato a livello planetario al Sole, a sua volta legata all’Ego. Eppure il trionfo del principio “Sole” deve avere anche una valenza positiva e ciò appare confermato da alcune versioni del gioco in cui, chi cade in questa casella, va direttamente alla casella 52, la Prigione, in cui starà comunque fermo finché un altro non giunga a liberarlo ma si è notevolmente avvicinato al traguardo. E’ come se un cunicolo sotterraneo unisse il Pozzo alla Prigione e non è un caso perché anch’essa è legata alla staticità. Per uscirne, infatti, bisogna lanciare un 5 o un 7. Questo momento di riflessione, di sosta, permette però di andare nella casella 58 (è impossibile con due dadi fare 1), la morte, che fa pagare un pegno amaro poiché, chi capita in quella casella, dovrà iniziare nuovamente il gioco da capo. Non solo: chi supera indenne la morte gioca con un solo dado, perché deve entrare nel giardino dell’oca con un solo tiro esatto e i punti eccedenti si percorrono all’indietro. Il numero 58 è legato al numero XIII che è proprio la morte dei Tarocchi. Non va intesa una vera e propria fine, poiché, come è abbastanza noto, la morte va intesa come un momento di trasformazione. Non è un caso, infatti, che il giocatore potrà continuare a giocare, iniziando da capo come “una persona nuova”.

L’ultima casella, infine, al di là della versione (antica o moderna), rappresenta il Giardino dell’Eden, il luogo ultimo da raggiungere. Il gioco dell’Oca, quindi non può che essere pensato come l’archetipo del percorso della vita, o meglio “delle vite”, del ciclo delle incarnazioni successive, dalle quali si otterrà la liberazione solo sciogliendo e portando a compimento i nostri nodi.

Federico Mazzotta

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