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La Salubrità dell’Aria: un’ode settecentesca per riflettere sull’ambiente

Di Federico Mazzotta

“They paved paradise to put up a parking lot” (Hanno asfaltato il paradiso per costruirci un parcheggio)
da Big Yellow Taxy, Joni Mitchell https://www.youtube.com/watch?v=2595abcvh2M

Giuseppe Parini nasce nel 1729 a Milano ed è considerato da molti critici della storia della letteratura italiana come il maggiore esponente dell’Illuminismo in Italia. Fu prima membro dell’Accademia dei Trasformati insieme a Berretti, Pietro Verri, il conte Imbonati (che donò il suo palazzo per farne la sede principale) e altre grandi personalità di quegli anni e poi della celebre Accademia dell’Arcadia, il movimento letterario che convenzionalmente ha messo fine al Barocco.

Senza dilungarci troppo sulla sua vita, possiamo dire che Parini ebbe umili origine e solo grazie ai sacerdoti del suo paese natio e alla sua prozia ebbe la possibilità di studiare. Ad essa giurò però che avrebbe preso gli ordini e così divenne sacerdote nel 1754. Successivamente, iniziò a lavorare come precettore presso alcune famiglie nobili. Quest’esperienza lo segnò a vita tanto che decise di scrivere Il Giorno, la sua opera più famosa. Nel Giorno Parini racconta, in maniera fortemente ironica, attraverso la voce di un precettore, la giornata tipo di un nobile, chiamato il Giovin Signor: la sveglia a mezzogiorno, quando il popolo è già attivo, descrivendo i suoi problemi con la colazione (berrà il cioccolato o il caffè?!); la sua toilettatura, che viene descritta come un’epica battaglia di saponi e spugne; il suo rapporto da cicisbeo (i damerini che facevano compagnia alle grandi dame sposate) con la donna amata; e infine dopo cena dove, insieme ad altri nobili, gioca ai giochi da tavolo fino a tarda notte.

Già da quest’opera si può notare la modernità dell’autore che utilizza con perspicacia e ironia lo stile classico per denunciare le ingiustizie sociali e la vita frivola della nobilità dell’epoca.

Accanto al Giorno, però, Parini scrive, in ben 40 anni, dal 1757 al 1795, 25 componimenti che chiama Odi. Il termine Ode indica un componimento lirico che ha una forma metrica variabile, ma che ha uno stile alto, solenne e ha temi solitamente civili. Nascono nel mondo greco ma si sviluppano anche nel mondo latino, basti pensare ad Orazio, che non a caso è un punto di grande riferimento per Parini che farà suo il principio proveniente dall’Ars Poetica “miscere utile dulci” (letteralmente mescolare l’utile al dolce), che rappresenta l’ideale poetico di Parini, ossia: usare la dolcezza della poesia per parlare di qualcosa di moralmente utile. La poesia per Parini insegna, deve avere un valore pedagogico. E così i temi delle Odi sono illuministi, progressisti, attuali. Come ad esempio L’innesto del vaiulo, che parla delle polemiche rispetto alla scoperta del vaccino del vaiolo avvenuta in quegli anni in cui Parini si volge a favore della ricerca scientifica (in sintesi ci dice come non dobbiamo aver paura di ciò che è nuovo); il Bisogno, dove tratta il problema della criminalità e dove si vede l’influenza di Cesare Beccaria, poiché anche Parini pensa che il modo migliore per rispondere al problema della criminalità è cercare di eliminare le disuguaglianze sociali, di creare una società giusta; la Musica, dove Parini entra in polemica con l’usanza per cui i ragazzini che intraprendevano la carriera da cantanti venivano evirati e infine l’Educazione, dove tratta il problema dell’istruzione e così via.

Queste sono solo alcune delle Odi dell’autore. Tra tutte, la più interessante è probabilmente la più celebre, La salubrità dell’aria. In quest’ode del 1759 Parini affronta il tema dell’inquinamento. È un’ode un po’ particolare perché sia naturalmente portati a pensare che il tema trattato sia un tema moderno, invece, già nel 1700 si affrontava questa problematica.
L’ode è costruita sul contrasto città e campagna. Gli uomini e le donne presentati nell’ode sono descritti come grandissimi e instancabili lavoratori che lavorano con gioia e salute la terra e i campi. Questa visione della pianura padana è messa in opposizione alla città di Milano, di cui Parini denuncia sporcizia, olezzo, rischio epidemie, malcostume, egoismo, avidità.
Quest’ode può essere quindi un punto di partenza per riflettere ed inserirsi in nel grande dibattito sull’ambiente.
Buona lettura!

Oh beato terreno
Del vago Eupili mio,
Ecco al fin nel tuo seno
M’accogli; e del natìo
Aere mi circondi;
E il petto avido inondi.

Già nel polmon capace
Urta sè stesso e scende
Quest’etere vivace,
Che gli egri spirti accende,
E le forze rintegra,
E l’animo rallegra.

Però ch’austro scortese
Quì suoi vapor non mena:
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid’ ale.

Nè quì giaccion paludi,
Che dall’impuro letto
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto:
E il meriggio a’ bei colli
Asciuga i dorsi molli.

Pera colui che primo
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.

Certo colui del fiume
Di Stige ora s’impaccia
Tra l’orribil bitume,
Onde alzando la faccia
Bestemmia il fango e l’acque,
Che radunar gli piacque.

Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori;
E trema o cittadino,
Che a te il soffri vicino.

Io de’ miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni
Tra la beata gente,
Che di fatiche onusta
È vegeta e robusta.

Quì con la mente sgombra,
Di pure linfe asterso,
Sotto ad una fresc’ ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;

E i membri non mai stanchi
Dietro al crescente pane;
E i baldanzosi fianchi
De le ardite villane;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo,

Dicendo: Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest’aura respirate
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi.

Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d’aria pura:
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e l’avarizia
E la stolta pigrizia?

Ahi non bastò che intorno
Putridi stagni avesse;
Anzi a turbarne il giorno
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati

E la comun salute
Sagrificossi al pasto
D’ambizïose mute,
Che poi con crudo fasto
Calchin per l’ampie strade
Il popolo che cade.

A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L’aere per ogni loco
De’ varj atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.

Ma al piè de’ gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l’aria lenta,
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.

Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.

Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!

Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.

Gridan le leggi è vero;
E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?

Ma dove ahi corro e vago
Lontano da le belle
Colline e dal bel lago
E dalle villanelle,
A cui sì vivo e schietto
Aere ondeggiar fa il petto?

Va per negletta via
Ognor l’util cercando
La calda fantasìa,
Che sol felice è quando
L’utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.

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