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Jan Amos Komenský – Tra pedagogia e esoterismo rosacrociano

Jan Amos Komenský (in italiano Giovanni Amos Comenio) nacque nel 1592 nell’attuale Repubblica Ceca, a Nivnice, un piccolo villaggio in Moravia. Alla morte dei genitori (1604) venne affidato a una zia. La sua famiglia apparteneva all’Unione dei Fratelli Boemi, anche detti moraviani, una comunità confessante considerata da molti come la più antica tutt’ora esistente. Nel 1608 cominciò a frequentare la scuola latina a Přerov e, fra il 1614 e il 1616, ne divenne direttore. Nel 1616 divenne pastore della sua comunità religiosa e, proprio per questo motivo, dopo la Battaglia della Montagna Bianca del 1620, una delle più importanti battaglie durante la Guerra dei trent’anni, Komenský fu costretto all’esilio. Si reca così in Polonia dove continua le sue due principali attività: da una parte è ancora predicatore religioso, dall’altra diventa dirigente in una scuola e si interessa anche al lato più epistemologico e teorico della pedagogia. Sono questi gli anni in cui scriverà la maggior parte delle sue opere pedagogiche, le cui idee, come vedremo, sono tutt’oggi moderne. Parallelamente agli interessi religiosi e pedagogici, Komenský aveva a cuore anche la questione linguistica, in cui cerca di mettere in relazione il latino, la lingua veicolare dell’epoca, con la lingua nazionale, tanto da iniziare a scrivere un grande dizionario ceco-latino. Quest’opera venne però persa durante un incendio nel 1656. In ogni caso, grazie a quest’opere rivoluzionarie iniziò ad essere conosciuto in tutta Europa, dapprima tra i protestanti ma non solo, tanto da essere chiamato fino in Inghilterra, Svezia e Paesi Bassi. Proprio qui si trasferì a seguito di sfortunati eventi: oltre la distruzione del suo patrimonio a causa dell’incendio, la moglie e i figli morirono di peste. Ad Amsterdam pubblicò un insieme di 43 opere con il titolo Opera Didactica Omnia che, insieme a Didactica Magna, costituiscono le due opere di stampo pedagogico più importanti. Ed è proprio qui, inoltre, che morì nel1670, alla veneranda età di 78 anni.

Come abbiamo visto, Jan Amos Komenský fu scrittore, teologo, pedagogista, educatore, linguista e pacifista. Un fine pensatore considerato il padre della pedagogia e dell’educazione. Ma come mai gli viene attribuito questo titolo?

Innanzitutto, Secondo Komenský educare è vivere: bisogna insegnare all’uomo anche gli aspetti spirituali e civili, cioè quindi anche come vivere in una società. È inoltre il primo a perseguire un ideale pansofico, ossia il desiderio di trasformare la pedagogia in una scienza universale, di renderla un insegnamento sistematico di tutte le discipline a tutti. Per il pedagogista, non doveva esistere nessuna distinzione di ceto sociale e di genere, si deve e si può insegnare a tutti perché siamo tutte creature di Dio, dotate di un’anima che progredisce con l’insegnamento. L’uomo secondo l’educatore è un microcosmo (supera così il concetto di dualismo Cartesiano) e può essere portato per questo, come entità, a livelli superiori. Così, anche i diversamente abili possono essere educati, anticipando quella che oggi definiamo didattica speciale, un ramo che si è iniziato a codificare a scientificamente a partire dal 1800. Più in generale, è il primo a parlare di didattica: ogni disciplina viene pensata come composta da dei “fili”, che dovevano poi essere valutati, anticipando così la docimologia, ossia quella branca della pedagogia che studia i criteri e i metodi di valutazione. Il processo di apprendimento dura tutta la vita (quello che oggi chiamiamo long-life learning). Il metodo di Komenský è costituto sull’ordine della natura: per gradualità e ciclicità. La natura non fa dei salti ma procede per gradi, e così deve essere l’educazione. Il pedagogista prevede così 4 cicli di insegnamento, che procedono secondo un andamento “ a spirale” della didattica, in quanto riprendono e approfondiscono quello che è stato studiato nel ciclo precedente, e sono: scuola del grembo, scuola di lingua nazionale, scuola di latino, accademia. La scuola comeniana inoltre deve avere come base l’insegnamento della lingua nazionale e di un linguaggio corretto, approfondendo via via i saperi di base acquisiti nei cicli precedenti.

Non a caso, il suo nome è stato dedicato uno dei quattro programmi settoriali del Programma di Apprendimento Permanente dell’Unione europea per sostenere l’istruzione e la formazione permanente, il progetto Comenius.

Accanto alla figura da pedagogista e da educatore, come abbiamo visto, Jan Amos Komenský ha mostrato di essere una personalità molto sfaccettata e poliedrica. Uno dei suoi libri più interessanti e che riesce a descrivere il suo ecclettismo, è sicuramente “Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore”, una sorta di autobiografia scritta in lingua ceca e pubblicata nel 1631 paragonata da molti storici, come ad esempio Frances Yates che l’ha definita “una delle opere della letteratura mondiale”, alla Divina Commedia di Dante Alighieri o alle Confessioni di Agostino.

L’opera è divisa in due parti e racconta, attraverso simboli e allegorie, nella prima il viaggio di un pellegrino nel mondo, che viene rappresentato come una grande città fatta di vie, piazze e palazzi. Il protagonista è un viaggiatore, un viandante alla ricerca della sua identità che incontra e passa in rassegna le diverse categorie degli uomini che vi abitano. Il viaggio è il primo simbolo contenuto all’interno dell’opera poiché da una parte allude al suo esilio, ma, dall’altro, invece è una metafora della ricerca della conoscenza e della verità, e porterà il protagonista a comprendere che il mondo è solo inganno, corruzione e vanità, e che l’unica vera possibilità di salvezza è dirigersi all’interno di se stessi, del proprio cuore, dov’è possibile trovare Dio che l’autore definisce come il “Bene Sommo”, che riuscirà a trovare solo alla fine, nella seconda parte del libro. Il viaggio è chiaramente un percorso iniziatico dell’anima, a cui tutti possono accedere (seguendo l’ideale pansofico di cui abbia già trattato), che, attraverso il Labirinto del mondo, in seguito alla presa di coscienza dei suoi orrori e delle sue contraddizioni, giunge al Paradiso del cuore, simbolo della pace e della felicità, condizione ideale dell’esistenza.

Oltre alla lettura dell’opera in chiave pedagogica e religiosa, alcuni studiosi sono convinti che esista un legame con l’ordine ermetico dei Rosacroce, riconducibile al progetto di rivoluzione spirituale e riforma del mondo promosso nei suoi manifesti tra il 1614 e il 1615. Questo perché nel suo libro il pedagogista cita, seppur in maniera indiretta, passi della cultura cabalista ed ermetica di quegli anni, il contenuto di questi manifesti, nonostante fossero segreti e dedichi un intero capitolo sia dedicato ai Rosacroce, nonostante fossero segreti. Alcuni storici hanno infatti che Komenský possa non solo aver fatto parte della società, ma che addirittura fosse un esponente di punta. Non è un caso, infatti, che nel libro ci sia un’intera parte dedicata alla confraternita. Nonostante sia vero che l’autore critica, insieme alle altre categorie di dotti e sapienti, anche gli stessi Rosacroce e la loro dottrina, è anche vero che, successivamente, nella seconda parte del libro, quando parla della “chiesa invisibile”, questa sembra essere organizzata proprio sul modello rosacrociano che rispecchia il “Regno di Cristo” finalmente ritrovato. Sebbene all’epoca fosse più facile ritrovare questo tipo di sincretismo tra la religione cristiana e influenze esoterico-ermetiche, è difficile pensare che non ci sia nessun legame.

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